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Recensione
Il mito di Re Artù e della spada nella roccia è immortale. Nel 1981, John Boorman, con il suo Excalibur, dirige una rappresentazione carica di simbolismi, eroica e leggendaria, de Le Morte d’Arthur di Thomas Malory; nel 2004, Antoine Fuqua, con il suo King Arthur, immerge la leggenda in un bellico sfondo storico. Due esempi significativi, tra le innumerevoli trasposizioni, dai quali Guy Ritchie prende, purtroppo, largamente le distanze.
Il regista di Sherlock Holmes dà un taglio “alla Zach Snyder”, omaggiando 300, e strizza l’occhio alle avventure di Robin Hood. Artù è un ragazzone tutto muscoli assolutamente poco credibile: Guy Ritchie inquadra meno il volto e più il fisico scultoreo di Charlie Hunnam. Il tatuaggio da motociclista dei Sons of Anarchy è indelebile, così come la spacconeria e l’irriverenza che qui caratterizzano, con rammarico, il personaggio di Artù. Tutto fuorché regale.
La storia inizia con la morte della madre e del padre Uther Pendragon per mano di un demoniaco essere infuocato al termine dell’ultima battaglia tra Uomini e Maghi. L’incipit risente fortemente de Il Signore degli Anelli, ma scevro della cura visiva e scenica dell’opera di Peter Jackson: tra battaglie con pseudo-olifanti, pipistrelli e serpenti giganti sembra di essere sì in un mondo fantasy, ma poco ispirato e lontano dall’incanto di Avalon e il regno di Camelot. Una torre oscura non manca e la magia è più un superpotere che qualcosa di misterioso e ultraterreno.
Sembra di partecipare a un videogioco, di quelli neanche riusciti troppo bene. La spada Excalibur è semplicemente un artefatto di incredibile potere, donato dalla Dama del Lago alla famiglia Pendragon senza una precisa motivazione. Tutti gli elementi sono fortemente sbilanciati. Le sequenze d’azione sono esagerate, mentre quelle che servono alla spiegazione di astrusi “giochi di camera”, che dovrebbero rappresentare la parte pseudo-comica e approfondire il background dei personaggi, se funzionano in Sherlock Holmes qui risultano stucchevoli a dir poco.
Jude Law è Vortigern, spietato antagonista di shakesperiana memoria alla continua ricerca di maggior potere. Un re che sacrifica la propria famiglia per controllare potenti e oscure forze magiche che ha inspiegabilmente perso, arrivando a stringere un patto con mostruose creature. Superficiale e fin troppo scontato. In vece di Merlino, il mentore di Artù, c’è una maga che invia il protagonista in luoghi tetri e selvaggi (una veloce carrellata di fotogrammi che non trasmette alcuna emozione) per poter controllare il potere della spada prima dello scontro finale con Vortigern (realizzato interamente in una asintomatica computer grafica). Di insipida fattura.
King Arthur – Il potere della spada è un viaggio arido in terre perennemente oscure ove la trama, senza alcuno slancio, sprofonda in abissi lividi, freddi e inospitali.
Alessandro Pin
Scheda
TITOLO ORIGINALE
King Arthur: Legend of the Sword
PRODUZIONE
Steve Clark-Hall, Akiva Goldsman, Joby Harold, Guy Ritchie, Tory Tunnell, Lionel Wigram
REGIA
Guy Ritchie
SCENEGGIATURA
Joby Harold, Guy Ritchie, Lionel Wigram
STORIA
David Dobkin, Joby Harold
CAST
Charlie Hunnam, Astrid Bergès-Frisbey, Jude Law, Djimon Hounsou, Eric Bana, Aidan Gillen, Freddie Fox, Craig McGinlay, Tom Wu, Kingsley Ben-Adir, Neil Maskell, Annabelle Wallis
COLONNA SONORA
Daniel Pemberton
FOTOGRAFIA
John Mathieson
MONTAGGIO
James Herbert
SCENOGRAFIA
Gemma Jackson, Tina Jones
COSTUMI
Annie Symons
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